[ Gli scrittori mi hanno salvato la vita ]
anche se si sono sparati in bocca, si sono impiccati, sono stati in manicomio, dormivano in una roulotte, o da bambini avevano paura di svegliarsi trasformati in scarafaggi.
[ I grandi autori non hanno una buona salute ]
... e forse sono proprio quelli attraverso cui scorre un tale flusso di vita... i filosofi e gli scrittori sono allo stesso punto. Ci sono cose che si riesce a vedere e dalle quali in un certo senso non si fa ritorno. Percetti al limite del sopportabile o concetti al limite del pensabile.
Gilles Deleuze
Anime fragili. Anime umbratili. Anime inquiete. Anime ferite. Anime chiuse in un silenzio tutto loro dal quale far uscire, qualche volta, suoni e parole come gocce di pioggia. Anime che se ne vanno con un coltello nel cuore senza dire neanche addio. Erano così.
Ricordatele con amore.
da "Venuto al Mondo", di Margaret Mazzantini
Il romanzo del 2008 diventato film nel 2012...
“COME SALVARSI LA VITA
1. Eliminare i sensi di colpa.
2. Non fare della sofferenza un culto.
3. Vivere nel presente (o almeno nell’immediato futuro).
4. Fare sempre le cose di cui si ha più paura; il coraggio è una cosa che s’impara a gustare col tempo.
5. Fidarsi della gioia.
6. Se il malocchio ti fissa, guarda da un’altra parte.
7. Prepararsi ad avere ottantasette anni.” Erica Jong
A volte penso che sarebbe meglio
evitare la vecchiaia e morire giovane.
Ma vorrebbe dire non completare la propria vita,
non riuscire a conoscersi completamente.
Non c'è in natura una passione più diabolicamente impaziente di quella di colui che, tremando sull'orlo di un precipizio, medita di gettarvisi.
Edgar Allan Poe
[ Luci che si spengono...]
Leggeri e fragili come un sospiro.
Nessuno all'epoca si accorse di loro.
"Nessuno li conosce,
solo la pioggia e l'aria
Non preoccupatevi
Si fermeranno ad ammirarvi quando ve ne sarete andati..."
[ l’intricato avvilupparsi dei propri tormenti a ritmo dell’alternanza tra esserci e non esserci ]
«Che posso fare, Morte?».
«Per fare?».
«Per andare avanti».
«Te l’ho detto, vivere».
«E che significa?».
«Significa resistere alla tentazione di arrendersi».
Ogni giorno come il primo giorno (Editrice Nord, 2018)
Seppur vero è che il dolore catturi l'attenzione, specie quando attanaglia i personaggi famosi, ciò che colpisce è il rispetto empatico con cui molti trattano l'animo volitivo e tormentato di queste icone:
le loro traversie spaventano e commuovono, insegnano e anestetizzano.
In questo improbabile totale
s'ha da essere vivi.
Nella folla, nel deserto,
nel tragitto, quando incerto...
Stefano Zuccalà
"Siamo sottili come carta"
Charles Bukowski
Perché fiorire si può e si deve,
anche in mezzo al deserto.
Giacomo Leopardi.
E Giacomo Leopardi compose, nel maggio del 1822, "L'Ultimo canto di Saffo".
Una canzone filosofica in cui Leopardi accoglie la leggenda, narrata da Ovidio, circa le circostanze della morte della poetessa greca Saffo. Secondo la leggenda, Saffo, pur essendo maestra nella poesia, era di sgradevolissimo aspetto: l'infelice amore con un giovane e bellissimo marinaio di nome Faone, che non la corrispose, la avrebbe indotta secondo il mito a suicidarsi gettandosi in mare dalla rupe di Leucade. È importante notare che, nella fase definita del «pessimismo storico», Leopardi riteneva l'età degli antichi e dei classici meno infelice di quella moderna, essendo animata dall'immaginazione e da grandi slanci eroici e non avendo ancora subito la contaminazione del progresso e della razionalità. Con l'Ultimo canto di Saffo, invece, il poeta di Recanati approfondisce la propria riflessione filosofica e approda a un'infelicità universale che è radicata ab origine nell'essenza umana, concludendo che il male di vivere era noto anche agli antichi Greci, e non tormenta esclusivamente gli uomini moderni come egli aveva inizialmente teorizzato. Saffo, mettendo in crisi il pessimismo storico leopardiano, si profila quindi come un'eroina profondamente moderna che, dileguatasi ogni illusione giovanile, prende finalmente consapevolezza dell'«arido vero», comprendendo che le sue sofferenze sono proporzionali alla sua nobiltà d'animo. Nella figura di Saffo, in effetti, Leopardi vede riflessa la propria esperienza personale, in quanto entrambi sono di brutto aspetto e inevitabilmente destinati alla sofferenza, e tuttavia dotati di un animo «delicato, tenero, sensitivo, nobile e caldo» (per usare le parole del poeta). Seppur vi siano queste notevoli affinità biografiche, fra i due poeti vi è una differenza lampante, siccome Saffo in atto di sfida estrema verso la Natura ostile decise di ricorrere a un gesto titanico, tipico degli eroi romantici, come lo Jacopo Ortis di Ugo Foscolo: il suicidio (questa cosa, invece, non avvenne in Leopardi).
È strana, a volte, la vita. Se osserviamo dall’esterno, alcune persone sembrano insolitamente privilegiate e la loro esistenza fluisce serena, senza ostacoli, come un fiume che scorre inarrestabile. Eppure, talvolta, quel moto lento e inesorabile si interrompe bruscamente, magari per una casualità o per un intervento volontario, e noi restiamo attoniti e smarriti ad interrogarci sul perché.
Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura
ché la diritta via era smarrita.
Dante Alighieri
La vita di ciascuno è in totale balìa del caso [?]
Paul Auster
22 novembre 1916:
la vita dice addio a Jack London.
Autore di romanzi come Il richiamo della foresta, Martin Eden, Zanna Bianca, Il tallone di ferro, Il vagabondo delle stelle, Il lupo dei mari e La peste scarlatta...
[Quando la vita diventa una fatica penosa, la morte è pronta a consolarla con un sonno eterno. Cos’altro stava aspettando? Era ora di andarsene.]
Le luci della nave già svanivano in lontananza…si lasciò andare, sprofondò inerte e immobile come una statua, nel mare. Scendeva, scendeva verso il fondo, sempre più giù…. Udì un rombo assordante, e gli parve di scivolare lungo un pendio liscio e immenso, morbido e interminabile. Quando ne raggiunse il fondo (come? Dove?) precipitò nelle tenebre. Seppe solo questo: che era caduto nelle tenebre. E nello stesso istante in cui lo seppe, cessò di saperlo.
Jack London, by Martin Eden
Se sei ambizioso, ma ti manca la perseveranza, leggi Martin Eden di Jack London. Romanzo largamente autobiografico, Martin Eden riflette l'inquietudine di London, la sua vita stravagante, la tensione autodistruttiva che lo porterà al suicidio. Il protagonista è un marinaio americano che finisce casualmente per frequentare il mondo borghese, salotti colmi di libri e fanciulle eteree. Tra l'iniziale timidezza e un'irresistibile attrazione per il nuovo ambiente, Martin Eden dovrà misurarsi con due impreviste passioni: la giovane Ruth Morse e la letteratura. Attraverso sogni delusi e speranze che sfumano, la strada verso la conquista di una fama che si rivelerà effimera sarà costellato dal conflitto tra le sue origini modeste e una cultura che comunque gli è estranea. I propositi di riscatto sociale e l'inclinazione per i miti borghesi del successo e della ricchezza si dilegueranno di fronte alla consapevolezza di una inevitabile alienazione.
“Gli eroi di London cominciano sempre ad agire nel tentativo di conquistare la vita, di allargarla, di darle una dignità e finiscono per essere divorati, sconfitti, ma dalla vita stessa non dalla morte."
by Fernanda Pivano
Sempre così
smisuratamente perduta
ai margini della vita reale.
Antonia Pozzi
“Vorrei che la mia anima ti fosse leggera, che la mia poesia ti fosse un ponte,
sottile e saldo, bianco
sulle oscure voragini
della terra”.
Antonia Pozzi,
Lieve offerta (5 dicembre 1934)
Desiderio di cose leggere
Nel cuore che pesa
Come pietra
Dentro una barca.
Antonia Pozzi, poetessa italiana che divenne “maestra” in fotografia: non tanto per un desiderio di apprenderne la tecnica aridamente quanto perché le cose, le persone, la natura hanno un loro sentimento nascosto che l’obiettivo deve cercare di cogliere, per dar loro quell’eternità che la realtà effimera del tempo non lascia neppure intravedere. Si vanno così componendo i suoi album, vere pagine di poesia in immagini.
Una normalità che è, però, solamente parvenza. In realtà Antonia Pozzi vive dentro di sé un incessante dramma esistenziale, che nessuna attività riesce a placare: né l’insegnamento; né l’impegno sociale a favore dei poveri in compagnia dell’amica Lucia; né il progetto di un romanzo; né la poesia che rimane, con la fotografia, il luogo più vero della sua vocazione artistica. La mancanza di una fede [rispetto alla quale Antonia, pur avendo uno spirito profondamente religioso, rimase sempre sulla soglia] contribuisce al tragico epilogo: il 3 dicembre 1938, a soli ventisei anni, si tolse la vita mediante barbiturici nel prato antistante all'abbazia di Chiaravalle; nel suo biglietto di addio ai genitori parlò di «disperazione mortale». Avvertiva certamente il cupo clima politico italiano ed europeo: le leggi razziali del 1938 colpirono alcuni dei suoi amici più cari: «forse l'età delle parole è finita per sempre», scrisse quell'anno... Lo sguardo di Antonia Pozzi, che si era allargato quasi all’infinito per cogliere l’essenza del mondo e della vita, si spense per sempre mentre calava la notte con le sue ombre viola... Cosa può aver spinto, a soli 26 anni, Antonia Pozzi a compiere il suo tragico gesto in una gelida giornata decembrina di tanti anni fa, quando sull’Europa si addensavano minacciose le nubi di guerra? Forse non sapremo mai se le ragioni del suo suicidio sono da ricercarsi in un oscuro “male di vivere”, oppure in un sentimento di disperazione fatale.
Sempre così smisuratamente perduta ai margini della vita reale: difficilmente la vita reale mi avrà e se mi avrà sarà la fine di tutto quello che c'è di meno banale in me.
Antonia Pozzi
E tu non direch’io perdo il senso e il tempo
della mia vita
se cerco nella sabbia
il sole e il pianto dei mondi
se getto nelle cose la mia anima più grande
e credo ad immense magie.
Antonia Pozzi
[ morire è questo ricoprirsi di rovi nati in noi ]
Non avere un Dio
non avere una tomba
non avere nulla di fermo
ma solo cose vive che sfuggono
essere senza ieri
essere senza domani
ed acciecarsi nel nulla
– aiuto –
per la miseria
che non ha fine
Antonia Pozzi, Grido 10 febbraio 1932
Virginia Woolf
South Kensington, Londra, 25 gennaio 1882
Qualunque cosa succeda, resta viva.
Non morire prima di essere morta davvero.
Non perdere te stessa, non perdere la speranza, non perdere la direzione.
Resta viva, con tutta te stessa, con ogni cellula del tuo corpo, con ogni fibra della tua pelle.
Resta viva, impara, studia, pensa, costruisci, inventa, crea, parla, scrivi, sogna, progetta.
Resta viva, resta viva dentro di te, resta viva anche fuori, riempiti dei colori del mondo, riempiti di pace, riempiti di speranza.
Resta viva di gioia.
C’è solo una cosa che non devi sprecare della vita, ed è la vita stessa.
Virginia Woolf
[ Chi mai potrà misurare il fervore e la violenza del cuore di un poeta quando rimane preso e intrappolato in un corpo di donna?]
Ho talvolta sognato che, quando verrà il giorno del Giudizio, l'Onnipotente dirà a Pietro, vedendoci arrivare con i nostri libri sotto braccio: "Guarda, questi non hanno bisogno di alcun compenso. Non abbiamo nulla da dare loro. Questi hanno amato leggere.
Virginia Woolf
Il 28 marzo del 1941, si riempì le tasche di sassi e si lasciò annegare nel fiume Ouse, non lontano da casa, nei pressi di Rodmell.
Scrisse una toccante lettera al marito:
"[...] Tutto se n'è andato da me tranne la certezza della tua bontà [...] Non credo che due persone possano essere state più felici di quanto lo siamo stati noi."
Ciò che conta è liberare il proprio io: lasciare che trovi le sue dimensioni, che non abbia vincoli..
Virginia Woolf
“È una cosa strana, il silenzio.
La mente si fa simile a una notte senza stelle.”
Virginia Woolf
«Ma quando ci sediamo accanto, vicini, ci dissolviamo l'uno nelle frasi dell'altro...».
Virginia Woolf, “Le onde”
Continuerò ad azzardare, a cambiare, ad aprire la mente e gli occhi, rifiutando di lasciarmi incasellare e stereotipare. Ciò che conta è liberare il proprio io: lasciare che trovi le sue dimensioni, che non abbia vincoli.
Virginia Woolf
Virginia Woolf odiava la sicurezza della vita borghese: voleva fuggire, viaggiare, essere altrove, bere dal «calice velenoso» e troppo pieno della vita...
Virginia Woolf amava le donne.
Più si invecchia, più si ama l'indecenza.
Virginia Woolf.
Non c’è cancello, nessuna serratura, nessun bullone
che potete regolare sulla libertà della mia mente.
Virginia Woolf
E come non pensare a "la sorella di Shakespeare" così come l'immaginò Virginia Woolf: un talento soffocato dalle circostanze, una poetessa mai venuta alla luce, la cui opera ci sarebbe stata negata da un mondo in cui le donne non avevano altri spazi oltre a quello domestico.
Vivo interamente della mia immaginazione, dipendo interamente dai capricci del mio pensiero,
che viene quando vuole, mentre cammino, mentre sto seduta,
e queste cose si agitano nella mia mente e fanno un teatro continuo, che è la mia felicità.
Virginia Woolf
Ho pensato a quanto spiacevole sia essere chiusi fuori;
e ho pensato a quanto sia peggio essere chiusi dentro.
Virginia Woolf
"Inutile piangere.
Si nasce e si muore da soli”
Così sostiene Cesare Pavese in “La casa in collina” scritto tra il 1947 e il 1948.
“L'arte di vivere è l'arte di saper credere alle bugie.”
Cesare Pavese
"Non si ricordano i giorni, si ricordano gli attimi."
Cesare Pavese
In sostanza chiedevo un letargo, un anestetico,
la certezza di essere ben nascosto.
Non chiedevo la pace del mondo, chiedevo la mia.
Cesare Pavese
"Ti amo come posso.
Aiutami tu."
Lettera di Bianca Garufi a Cesare Pavese
C’è un albergo a Torino, accanto alla Stazione Porta Nuova, si chiama Hotel Roma.
Cesare Pavese ci si è ucciso nella notte fra il 26 e il 27 agosto del 1950. Conservano la stanza com’era, ma non è un museo. L’affittano ai clienti come tutte le altre. Si trova in un’ala dell’hotel che è rimasta come nei lontani anni Quaranta, perché molti preferiscono alle comodità contemporanee il décor vecchiotto.
In quel 1950 Pavese ebbe, con l'attrice americana Constance Dowling, un rapido flirt consumato fra marzo e aprile: per lui, quella mancata storia d'amore, divenne il coronamento di tutti i fallimenti amorosi...
http://losbuffo.com/2017/10/28/cesare-pavese-suicidio-damore/
E il fil rouge delle sue opere potrebbe essere proprio il desiderio della donna. Questa ansia che si leva perenne e che, perennemente, viene a mancare.
Non ci si libera di una cosa evitandola,
ma solo attraversandola.Cesare Pavese
Mi strugge l’anima perdutamente
il desiderio d’una donna viva,
spirito e carne, da poterla stringere
senza ritegno e scuoterla, avvinghiato
il mio corpo al suo corpo sussultante,
ma poi, in altri giorni più sereni,
starle d’accanto dolcemente, senza
più un pensiero carnale, a contemplare
il suo viso soave di fanciulla,
ingenuo, come avvolto in un dolore
e ascoltare la sua voce leggera
parlarmi lentamente, come in un sogno.
Cesare Pavese
Ti offro tutto: pudori, vergogne,
umide labbra e secchi gemiti.
Infine la mia mente vischiosa di nuvole
come un cielo del nord, costantemente…
Cesare Pavese
[ Saprò diventare come vuoi. Devo diventarlo, perché non voglio che la nostra storia somigli alle altre che ho bruciato.]
dal carteggio tra Cesare Pavese e Bianca Garufi
A che cosa ha servito questo lungo amore?
A scoprire tutte le mie tare, a provare la mia tempra e giudicarmi. Vedo ora il perché del mio isolamento fino al '34. Sentivo inconsciamente che per me l'amore sarebbe stato questo massacro. Niente si è salvato. Nemmeno l'integrità fisica: non servo alle donne. La coscienza si è spaccata: vedi lettera e tentazione omicida. Il carattere si è piegato: vedi confino. L'illusione dell'ingegno è sparita: vedi lo stupido libro e la mia natura di traduttore. La fermezza dell'uomo comune, persino, è venuta meno: a trent'anni non ho un mestiere.
Sono arrivato al punto di sperare la salvezza dall'esterno, e non c'è oscuramento più grande: penso ancora che con lei potrei vivere e lottare. Ma di quest'illusione fa giustizia lei stessa: mi ride in faccia e così risparmia anche quest'ultima penosa esperienza.
"....siamo pieni di vizi, di ticchi e di orrori noi gli uomini, i padri...". Tutto giusto. Solo che non siamo nemmeno padri.
Se dopo il primo distacco non sono più stato io e ho vissuto come una larva, come vivrò dopo quest'altro a cui si deciderà un giorno? Anche fisicamente, ora non sono più lo stesso.
Eppure è accaduto a molti che un amore li ha distrutti e ammazzati. Sono forse più bello perchè non debba capitare a me? La lotta ora non è più tra il sopravvivere o decidermi al salto. E' tra decidermi al salto da solo come sono sempre vissuto, o portare con me una vittima - perché il mondo se ne ricordi. Tutti i giorni, tutti i giorni, dal mattino alla sera, pensare così. Nessuno ci crede: è naturale. E' forse questa la mia vera qualità (non l'ingegno, non la bontà, non niente): essere invaso d'un sentimento che non lascia cellula del corpo sana. E' davvero l'ultimo orgoglio: nessuno per nove mesi avrebbe retto a uno strazio simile. Anche lei che parla: un altro - chiunque - a quest'ora l'avrebbe già uccisa.
"Ti voglio bene, cara, e ti odio, sei per me letteralmente l'aria che respiro, se mi manchi ti maledico come fa un annegato; mi fa male fisicamente esser lontano da te; non sei per me una donna, sei l'esistenza stessa; dove sei tu è la mia casa, tutto il resto è niente...."
"Come stiamo a coglioni? vediamo se mi fai godere".
"Quando avrai finito di volerti fare degli amici portando la gente a letto? In questo modo fai solo dei disgraziati".
"Allora non ci verrò mai più". - La sua logica.
-Perché pensi sempre a te?-
-Se non ci penso io, chi ci pensa?-
La cosa segretamente e più atrocemente temuta, accade sempre. Da bambino pensavo rabbrividendo alla situazione di un innamorato che vede il suo amore sposarne un altro. Mi esercitavo a questo pensiero. E voilà.
Ernest Hemingway
Oak Park, 21 luglio 1899 – Ketchum, 2 luglio 1961
«Personaggio affascinante, le sue pagine - profondamente ispirate a uno stile di vita - sono pervase da un senso assoluto della vigoria morale e fisica, dallo sprezzo del pericolo, ma anche dalla perplessità davanti al nulla che la morte reca con sé.»
[ Morire è una cosa molto semplice.]
Ho guardato la morte e lo so davvero. Se avessi dovuto morire sarebbe stato molto facile. Proprio la cosa più facile che abbia mai fatto... E come è meglio morire nel periodo felice della giovinezza non ancora disillusa, andarsene in un bagliore di luce, che avere il corpo consunto e vecchio e le illusioni disperse.
dalla lettera scritta ai genitori il 18 ottobre 1918
Ora non è il momento di pensare
a quello che non hai.
Pensa a quello che puoi fare
con quello che hai.
[ Se qualcuno riesce ad essere così forte, il mondo può solamente ucciderlo per spezzarlo, e naturalmente lo fa.]
Non c’è nessuno che il mondo non spezzi, molti poi si rafforzano nel punto dove sono stati spezzati. Quelli che non si spezzano altrimenti il mondo li uccide. Con imparzialità uccide chi ha troppa forza nella bontà o nella gentilezza o nel coraggio; e se non sei di questi ucciderà te pure, siine certo; ma con minor fretta.
Ernest Hemingway, da Addio alle armi
Il 1º luglio 1961, come riferisce Mary [la quarta moglie] nelle memorie, fu una giornata abbastanza tranquilla per lo scrittore tranne che per il ricorrente incubo della persecuzione dell'FBI.
[un canto popolare dell'epoca, successivamente portato alla ribalta da Orietta Berti...]
La mattina del 2 luglio Mary fu svegliata da un forte colpo: Hemingway si era sparato mettendosi la canna del fucile in bocca ed era morto.
"Disarmato" era l'unica parola
che poteva descrivere il mio cuore,
mentre era accanto al suo...
Sylvia Plath
Breve appunto a me stessa.
È ora di darmi una controllata.
Ho vagato in giro lugubre, tetra, triste.
Adesso è ora che mi costruisca dentro, che mi dia spina dorsale, anche se fallisco.
Sylvia Plath, Diari.
Mi sento stranamente felice. Mi godo il presente come se non avessi mai vissuto e dovessi morire domani, evitando di punirmi come al solito. Il segreto della pace: una devota adorazione del momento.
L'11 febbraio 1963 Sylvia Plath, la poetessa americana di Boston, a soli 30 anni si tolse la vita: sigillò porte e finestre ed inserì la testa nel forno a gas, non prima di aver scritto l'ultima poesia intitolata "Orlo" ed aver preparato pane e burro e due tazze di latte da lasciare sul comodino nella camera dei bambini.
Secondo Al Alvarez e altri studiosi, in realtà non aveva intenzione di uccidersi, ma soltanto di rivolgere all'esterno un'estrema richiesta d'aiuto, "... che disgraziatamente fece fiasco"; ella sapeva, infatti, che quella mattina sarebbe passata in visita una ragazza australiana, e aveva lasciato inoltre un biglietto con scritto un numero di telefono del suo medico, e le parole: "Per favore chiamate il dottor...".
Quanto siamo scemi ad amare davvero.
Senza imbrogliare.
Senza doppi giochi.Sylvia Plath
Io ho questo demone che vorrebbe vedermi scappare urlando come se fossi sul punto di cedere, di fallire. Vuole farmi pensare di essere tanto brava da dover essere perfetta. O niente.
Al contrario, io sono qualcosa: una persona che si stanca, che deve combattere la timidezza, che ha moltissimi problemi nell'affrontare il prossimo con disinvoltura. Se supererò quest’anno ricacciando il demone a calci quando spunta fuori, [...], sarò in grado di guadagnare un centimetro alla volta nella vita, invece di scappare a gambe levate appena fa un po’ male.
Sylvia Plath, Diari
Sono solitaria come l’erba.
Che cos’è che mi manca?
lo troverò mai,
questo qualcosa che non so?
Il 26 luglio 1971 a Greenwich Village, New York, la fotografa statunitense di origini russe Diane Arbus, all'età di 48 anni, dice addio alla vita.
Si compie così con un ultimo definitivo gesto l'esistenza di una donna che dell'umanità aveva voluto conoscere e fermare attraverso la fotografia, in un istante, tutto.
Ma proprio tutto. Oltre ogni apparenza. E a quel tutto alla fine si era arresa.
"La cosa che preferisco è andare dove non sono mai stata. Se io fossi semplicemente curiosa, mi sarebbe assai difficile dire a qualcuno: voglio venire a casa tua, farti parlare e indurti a raccontare la storia della tua vita. Mi direbbero: tu sei matta. E in più starebbero molto sulle loro. Ma la macchina fotografica dà una specie di licenza. Tanta gente vuole che le si presti molta attenzione, e questo è un tipo ragionevole di attenzione da prestare. Quelli che nascono mostri sono l’aristocrazia del mondo dell’emarginazione…
Quasi tutti attraversano la vita temendo le esperienze traumatiche. I mostri sono nati insieme al loro trauma. Hanno superato il loro esame nella vita, sono degli aristocratici. Io mi adatto alle cose malmesse. Non mi piace metter ordine alle cose. Se qualcosa non è a posto di fronte a me, io non la metto a posto. Mi metto a posto io. Una fotografia è un segreto che parla di un segreto, più essa racconta, meno è possibile conoscere. Credo davvero che ci siano cose che nessuno riesce a vedere prima che vengano fotografate."
Diane Arbus
[ la figlia del silenzio ]
Alejandra Pizarnik
Buenos Aires, 29 aprile 1936 – muore suicida il 25 settembre 1972. http://golfedombre.blogspot.com/2016/12/marco-bellini-su-la-figlia-dellinsonnia.html
Incontrare e attraversare il percorso poetico di Alejandra Pizarnik... È indubbio che avvicinarsi alla scrittura della Pizarnik implichi dei rischi; può accadere di essere trasportati in un labirinto dove l’oscurità, il silenzio e il disvelamento di una solitudine quasi preziosa (al punto da essere nutrita?) innescano nel lettore un processo che, sfiorando l’angoscia, porta alla percezione della morte quale elemento coessenziale dell’esistere:
“La morte sempre al fianco. Ascolto il suo dire. Odo me sola.”...
[ Piccoli suicidi silenziosi. ]
Strano essere caduta così in basso dopo tante precauzioni. Hai camminato tutta la notte a tentoni: non hai pianto; non hai guaito; non hai nemmeno respirato quanto ne avevi bisogno. Eppure ti hanno scoperta lo stesso.
Come se niente fosse.
Dal diario di Alejandra Pizarnik
[il silenzio]
io mi unisco al silenzio
io mi sono unita al silenzio
e mi lascio fare
e mi lascio bere
e mi lascio dire
Io ero predestinata a nominare le cose con nomi essenziali. Io non esisto più e lo so; quello che non so è che cosa vive al posto mio. Perdo la ragione se parlo, perdo gli anni se sto in silenzio. Un vento violento distrusse tutto. E non aver potuto parlare per tutti quelli che dimenticarono il canto. Un addio è la tua vita. Ce ne andiamo in silenzio con nel cuore il segreto di quel che siamo stati. Essenziale non fare rumore.
Alejandra Pizarnik
[la figlia prediletta del dolore]
E ancora mi azzardo ad amare
il suono della luce in un’ora morta
il colore del tempo in un muro abbandonato.
Chiedere è così lontano.
Così vicino sapere che non c’è.
Alejandra Pizarnik
"Sto molto male Non so se sono nevrotica, non m'interessa. Ho solo una sensazione di abbandono assoluto. Di assoluta solitudine. Mi sento piccolissima (...) Ho voglia di piangere. Lo sto facendo. Piango perché non ci sono esseri magici."
Alejandra Pizarnik
Scrivere una poesia è riparare la ferita profonda, la lacerazione.
Perché tutti siamo feriti
Alejandra Pizarnik
Alejandra Pizarnik vive un'amicizia amorosa con Cristina Campo, una breve amicizia amorosa che non si interrommpe bruscamente ma sfocia nel silenzio. Come succede in casi di questo genere, l’attrazione irrefrenabile del proprio opposto è troppo seducente per essere respinta e troppo pesante per essere vissuta fino in fondo. Il breve periodo del loro contatto epistolare non ha cambiato il corso della vita né dell’una, né dell’altra. Entrambe indomabili, si sfiorano soltanto; poi, come delle comete smarrite, tornano nella propria orbita, per andare laddove devono andare.
Poi si avvolse nella vecchia pelliccia della madre, si versò un bicchiere di vodka, si chiuse nel garage e accese il motore dell’auto avvelenandosi col monossido di carbonio...
Così moriva il 4 ottobre 1974 Anne Sexton, a soli 45 anni
Ci sono così tante cose che voglio dire...
ma le parole sbagliate mi baciano.
Volo come un’aquila
ma con le ali di un passero.
Anne Gray Harvey, nasce nel 1928 a Newton, vicino Boston; un'infanzia e un'adolescenza dorate all’apparenza, tra gite in barca e viaggi. Appartiene a un’agiata famiglia del New England, bigotta e conformista, nella quale Anne non riuscirà mai a integrarsi. Coniugata Sexton, è una delle più importanti poetesse del Novecento... Il padre è un industriale, dedito agli affari e all’alcool; la madre, discendente di politici e intellettuali illustri, è una donna algida e indifferente verso sua figlia.
https://www.illibraio.it/anne-sexton-900441/
Frequentò un corso di poesia insieme a Sylvia Plath, tenuto da Robert Lowell nel 1957.
Sylvia e Anne restarono amiche e alcuni pettegolezzi le ritraggono amanti.
Questa relazione è allusa nella poesia Sylvia’s Death che lei scrisse dopo il suicidio della Plath.
Ha vinto il Premio Pulitzer per la poesia nel 1967.
I temi della sua poesia sono le sue tendenze suicide, la lunga battaglia contro la depressione e i vari dettagli intimi della sua vita privata, compresi i suoi rapporti con il marito e i figli.
A Weston, il 4 ottobre 1974, morì suicida a 46 anni.
https://www.lasepolturadellaletteratura.it/anne-sexton/ Non fu né la prima, né l’ultima donna scrittrice, poetessa, a trovare nel suicidio una via di fuga dalla vita. Prima di lei Virginia Woolf, Sylvia Plath, e molte altre.
Sono dentro i miei pensieri.
Sono rinchiusa nella casa sbagliata.Anne Sexton
Alla sua famiglia, frantumata dal divorzio, la morte della Sexton sembrò la fine di un lungo assedio.Diane Wood Middlebrook, da Anne Sexton - Una vita
[ Sono stanca quanto voi di continuare a guardarmi.]
Nessuno può vedermi da dove mi guardo io.
Francesca Woodman
19 gennaio 1981 * Francesca Woodman dice addio alla vita
Francesca Woodman, fotografa statunitense, aveva solo 22 anni quando in quel 1981 si tolse la vita: il 19 gennaio si gettò dalla finestra di un loft, nell’East Side di New York.
nelle quali tutto il mistero della paura o comunque ciò che rimane latente agli occhi dell’osservatore uscisse, come se derivasse dalla sua propria esperienza.
Francesca Woodman
Nascita di una stella: Yolanda Cristina Gigliotti... Il 17 gennaio 1933 alle porte del Cairo, da genitori calabresi, emette i suoi primi vagiti la cantante italo-francese Dalida. Cantante e attrice di origine italiana che conquistò con la sua voce la Francia, l’Italia e l’Egitto.
Immersa in una vita fatta di musica e di successo esplosivo, tra tanti amori che non concedono pace, assiste impotente al suicidio di Luigi Tenco. Nel 1967 accettò di partecipare al Festival di Sanremo assieme a Tenco, con la canzone “Ciao amore ciao”, che inizialmente venne rifiutata, ma a seguito delle minacce di Dalida di non prendere parte alla gara, il brano venne riammesso. La sera del 26 gennaio, dopo l’eliminazione della canzone dal Festival, Luigi Tenco si tolse la vita nella sua stanza d’albergo. Fu proprio Jolanda a trovarlo esanime e da quel momento la sua vita cambiò definitivamente. La stessa notte venne allontanata dal Festival, poiché chiedeva venisse fermata la gara per quanto era accaduto: una tragedia che la toccherà al punto da indurla, un mese dopo, a tentare lei stessa di togliersi la vita. Un mese dopo, a Parigi, Dalida tentò di suicidarsi con un mix di farmaci in una camera del “Principe di Galles”, ma grazie all’attenzione di una cameriera, venne trasportata all’ospedale in stato di coma. Dopo cinque giorni, Dalida si risvegliò. Si riprende e vive la sua vita...Ormai ultracinquantenne, amatissima ma profondamente irrisolta, si confronta con un'agenda piena e un'emotività sempre più vuota. Tenta forse di ricostruirsi un'equilibrio tornando alle origini, in Egitto: il contatto con il passato la scuote ancor di più. Era il 3 maggio del 1987 quando Jolanda Cristina Gigliotti esalò l’ultimo respiro nella sua grande casa parigina di Montmarte.. La vita di Dalida si è consumata in fretta, tra le luci della ribalta e il male di vivere che la affliggeva. Dalla morte di Luigi Tenco non si riprese mai e iniziò a sentirsi sempre più sola. Dalida preparò nei minimi dettagli il suo suicidio. Lo ha rivelato Bruno Gigliotti, fratello della cantante francese. Ha ricostruito esattamente le ore che hanno preceduto il suicidio. La cantante organizzò la sua morte: annunciò alla servitù che quella sera sarebbe andata a teatro, e per essere sicura che anche la fedele governante, Jacqueline, si prendesse una serata di libertà, Dalida l’accompagnò personalmente a casa. Poi tornò a piedi.
«Salì in camera sua e per la prima volta si è addormentata dopo aver spento le luci. Dalida aveva il terrore di dormire al buio e non l’aveva mai fatto». In quanto alle cause che avrebbero spinto Dalida al suicidio, Bruno Gigliotti ha spiegato che Jolanda ha voluto uccidere Dalida perché «il conflitto tra la donna e l’ artista era ormai insanabile. Dalida aveva tutto, il successo, la ricchezza. Jolanda invece era rimasta sola, senza un uomo e senza figli. Insomma, senza una famiglia e senza affetti». Gigliotti ha parlato anche del suicidio di Luigi Tenco: «Mia sorella non scappò da Sanremo come scrissero i giornali – ha detto – ma fu costretta a lasciare il Festival. Gli organizzatori si misero d’accordo con i discografici di Dalida che la obbligarono a salire in auto con il marito e a tornare a Parigi perché la cantante, disperata, stava convincendo gli altri partecipanti a far saltare il Festival».
Un salto in quel vuoto che l’aveva ossessionata per tutta la vita: così, nella notte del 27 ottobre del 1996,
Mi ameranno per quello che mi distrugge.
La spada nei miei sogni
La polvere dei miei pensieri
La malattia che si riproduce nelle pieghe della mia mente. Sarah Kane
[ Non ho voglia di morire. Nessun suicida ne ha mai avuta ]
E’ la paura che mi tiene lontana dalla morte.
Sono stanca della vita e la mia mente vuole morire.
Sarah Kane
Nella vita non ho mai avuto problemi a dare agli altri ciò che volevano.
Ma nessuno è mai stato capace di fare lo stesso per me.
Sarah Kane, drammaturga britannica...
[1971*1999]
David Foster Wallace
David Foster Wallace si è suicidato 12 anni dopo aver scritto “Infinite Jest”. E nonostante abbia convissuto con la depressione, la sua morte ha stupito, perché in ogni pagina di quel libro, in ogni personaggio, in ogni nota c’è sempre un messaggio contrario alla resa. Il libro è del 1996 e tutti coloro che lo avevano letto prima della sua morte, l’avevano interpretato come una lunga complicata storia sulla capacità di non soccombere. Noi che avremmo voluto sentirci al sicuro, avremmo desiderato credere che la letteratura, se ben scritta, se “vera e sincera” dia la salvezza, noi che volevamo farci persuasi che la disperazione è un racconto, anche infinito, che, una volta narrato e fatto uscire dalla mente di una persona capace, si supera e ti lascia aperte tante possibilità, noi che desideravamo pensare che il dolore sia fertile, e genera opere, anche divertenti e profonde, siamo stati smentiti dalla vita dell’autore.
[.....esiste una cosa come la cruda, incontaminata, immotivata gentilezza.]
…se pensi a quelle volte nella vita che hai trattato le persone con un amore e una correttezza straordinari, e te ne sei preso cura in maniera totalmente disinteressata, solo perché avevano valore come esseri umani…
Ecco, la capacità di fare altrettanto con noi stessi. Di trattare noi stessi come tratteremmo un buon amico, un amico prezioso. O un nostro bambino che amiamo più della vita stessa. E penso che sia possibile arrivarci. Penso che in parte il compito che abbiamo sulla terra sia imparare a fare questo. Intervista a David Foster Wallace [1962*2008]
"Penso che David Foster Wallace non sia stato vittima dell'incomprensione degli altri. E' stato amato e osannato in vita come il migliore scrittore della sua generazione e come fra i più grandi della letteratura americana del secondo '900. Da questo punto di vista non gli è mancata né la stima né il successo. E questo fin dalla sua prima pubblicazione. E' stato un uomo molto amato e che ha molto amato e che credeva fermamente nei rapporti interpersonali. Quindi non si può dire di lui che si sia mantenuto distante dal vivere e dagli altri. David Foster Wallace è stato semmai vittima della sua stessa genialità, della profondità del suo pensiero, del suo non volersi fermare in superficie ma costantemente interrogarsi sulle ragioni di quel che aveva di fronte. Dostoevskij diceva che avere troppa coscienza è malattia. Questa è stata la malattia di David Foster Wallace. Non è servita a niente, non lo ha salvato dalla depressione e dal suicidio, ma gli ha fatto scrivere quelle pagine bellissime che ci ha lasciato." by sitting
[ tante battaglie per niente ]
Ormai è una parola abusata e banale, disperato, ma è una parola seria, e la sto usando seriamente. Per me indica una semplice combinazione – uno strano desiderio di morte, mescolato a un disarmante senso di piccolezza e futilità che si presenta come paura della morte. Forse si avvicina a quello che la gente chiama terrore e angoscia. Ma non è neanche questo. È più come avere il desiderio di morire per sfuggire alla sensazione insopportabile di prendere coscienza di quanto si è piccoli e deboli ed egoisti e destinati senza alcun dubbio alla morte.... E comincio a capire che verrà un momento in cui le mie scelte si restringeranno e quindi le preclusioni si moltiplicheranno in maniera esponenziale finché arriverò a un qualche punto di qualche ramo di tutta la sontuosa complessità ramificata della vita in cui mi ritroverò rinchiuso e quasi incollato su di un unico sentiero e il tempo mi lancerà a tutta velocità attraverso vari stadi di immobilismo e atrofia e decadenza finché non sprofonderò per tre volte, tante battaglie per niente, trascinato dal tempo.
David Foster Wallace, da Una cosa divertente che non farò mai più
Robin Williams
[1951*2014]
Ti viene data solo una piccola scintilla di follia. Non devi perderla.
Robin Williams
La vita passa,
e noi con lei.
E ride di noi,
come una vecchia puttana sdentata
che aspetta l'ultimo cliente.
Margaret Mazzantini
E poi Alessandra Appiano, scrittrice e conduttrice tv...
Impegnata nel sociale, ambasciatrice di Oxfam, ong che si batte contro la fame nel mondo, nel 2013 le era stato assegnato l’Ambrogino d’oro, massima onorificenza di Milano. Il 3 giugno 2018 lascia sgomenti amici, colleghi, conoscenti, utenti che la seguivano sui social: nessuno sa darsi una spiegazione del suo estremo gesto...
L’ ultima sua fatica letteraria dal titolo
“Ti meriti un amore”, risale allo scorso anno.
A maggio scorso sulla sua pagina Facebook, aveva condiviso una citazione di Primo Levi: “Amare il proprio lavoro (che purtroppo è privilegio di pochi) costituisce la migliore approssimazione concreta alla felicità sulla terra”.
È morta all’improvviso, sul finire di luglio, nel suo piccolo, sguarnito appartamento di Parigi, a Montrouge: pochi metri quadrati, occupati da pochissimi mobili, tra cui un armadio. Lo stesso dentro il quale Oksana Šačko, nata nell’87 in Ucraina, ha deciso di impiccarsi: il suo corpo è stato ritrovato lunedì 23 luglio 2018. Oksana Šačko è stata un'attivista ucraina, nota per essere stata una delle fondatrici del movimento femminista "FEMEN", prendendo parte anche a diverse sue manifestazioni... La vicenda, almeno secondi i media francesi, si tingerebbe di giallo per via dell'ultima intervista rilasciata al quotidiano Le Parisien nel giugno del 2016. «Rimarrò sempre una Femen ma questo movimento è morto perché la società lo ha ucciso. Sul mio capo in Ucraina pendono 5 procedimenti penali. A volte temo che in qualche modo vogliano farmela pagare». Negli ultimi due anni l'attivista avrebbe già tentato di togliersi la vita, ha riferito una conoscente. In Francia si era trasferita nel 2013, abbandonando il movimento Femen per dedicarsi alla pittura e alla scultura sotto la guida del noto artista parigino Olivier Blanckart. Le sue erano soprattutto opere di protesta, un'arte dissacrante per continuare le battaglie mentre dentro, nell'intimo, continuava a soffrire forse per un sentimento di delusione dalla realtà che la circondava. Nel 2008, insieme a Oleksandra Shevchenko e ad Anna Hutsol aveva fondato il gruppo delle «sextremiste», nato in Ucraina per denunciare il sessismo e le discriminazioni nei confronti delle donne. In un primo momento con flash mob in biancheria intima negli eventi istituzionali, poi proprio dall'idea di Oksana nacque la contestazione a seno scoperto divenuta marchio di fabbrica di tutta l'organizzazione. Un movimento che si è allargato negli anni ad altri Paesi con svariate proteste a seno esibito di fronte ai potenti della terra
E poi Francesca Tardioli, ambasciatrice italiana a Canberra, in Australia. Nel corpo diplomatico dal 1991, dopo la laurea in Scienze politiche all’Università di Perugia e un master presso la Sioi (Società italiana per l’organizzazione internazionale), Tardioli era stata nominata ambasciatrice a Canberra nel 2019. In passato aveva avuto esperienze anche in ambasciate e consolati in Albania, Arabia Saudita e in Libia, presso la Nato e al ministero degli Affari esteri. In particolare era stata anche console generale a Norimberga e a Tripoli e in passato aveva prestato servizio all’ambasciata di Riad, alla Rappresentanza permanente presso la Nato e alla direzione generale per gli Affari Politici e di Sicurezza. Nel 2014 era stata nominata Cavaliere Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica. Cosa può spingere un'affermata donna di 56 anni al suicidio lasciando due figli di 24 e 27 anni?
Se la morte fosse un vivere quieto,
un bel lasciarsi andare,
un’acqua purissima e delicata
o deliberazione di un ventre,
io mi sarei già uccisa.
Ma poiché la morte è muraglia,
dolore, ostinazione violenta,
io magicamente resisto.
Che tu mi copra di insulti,
di pedate, di baci, di abbandoni,
che tu mi lasci e poi ritorni senza un perché o senza variare di senso nel largo delle mie ginocchia, a me non importa perché tu mi fai vivere,
perché mi ripari da quel gorgo
di inaudita dolcezza, da quel miele tumefatto e impreciso
che è la morte di ogni poeta.
[ma gettare la spugna non è mai un'opzione]
L'unico capolavoro è vivere.
Gilbert Cesbron
«In un road movie del 1991, dopo aver attraversato mezza America a bordo di una vecchia Ford Thunderbird preferiscono morire pur di non farsi arrestare. Sulla macchina lanciata a gran velocità verso il canyon dove scorre il Colorado, si guardano negli occhi, e tenendosi per mano, si lanciano nel vuoto. Quella scena, che non manca mai di far piangere, è l’epilogo del viaggio trasgressivo di due amiche in fuga dall’Arkansas: Louise, cameriera in un fast food e Thelma casalinga, semischiava del marito. Un film che ha dato voce al sogno di libertà delle donne, alla possibilità di correre nel mondo essendo semplicemente se stesse. Il viaggio rappresenta la vita, la sfida e, più del volo finale, rimane negli occhi l’immagine di Thelma e Louise che cantano, coi finestrini abbassati, in quel loro momento di perfetta felicità. Rimane un esempio di amicizia e di solidarietà femminile contro il modello della rivalità. Ma, purtroppo, con un triste promemoria finale: se la libertà non l’hai conquistata, alla fine della strada c’è anche la fine del sogno». by Roselina Salemi
[e i vostri modi gentili, non vi fanno sembrare stupidi, ma solo migliori...]
Un giorno mi perdonerò.
Del male che mi sono fatta.
Del male che mi sono fatta fare.
E mi stringerò così forte, da non lasciarmi più.
Emily Dickinson