Homo homini lupus...
[l'insostenibile leggerezza del mondo civile]
"Homo homini lupus"
[un'espressione latina il cui precedente più antico si legge nel commediografo latino Plauto]
La massima riassume la condizione dell'uomo nello stato di natura descritto dal filosofo inglese Thomas Hobbes. Secondo Hobbes, la natura umana è fondamentalmente egoistica, e a determinare le azioni dell'uomo sono soltanto l'istinto di sopravvivenza e di sopraffazione. Egli nega che l'uomo possa sentirsi spinto ad avvicinarsi al suo simile in virtù di un amore naturale. Se gli uomini si legano tra loro in amicizie o società, regolando i loro rapporti con le leggi, ciò è dovuto soltanto al timore reciproco. Nello stato di natura, cioè uno stato in cui non esista alcuna legge, ciascun individuo, mosso dal suo più intimo istinto, cerca di danneggiare gli altri e di eliminare chiunque sia di ostacolo al soddisfacimento dei suoi desideri. Ognuno vede nel prossimo un nemico. Da ciò deriva che un tale stato si trovi in una perenne conflittualità interna, in un continuo bellum omnium contra omnes, nel quale non esiste torto o ragione (che solo la legge può distinguere), ma solo il diritto di ciascuno su ogni cosa (anche sulla vita altrui). Fuori dall'ambito strettamente filosofico, al giorno d'oggi l'espressione è utilizzata per sottolineare la malvagità e la malizia dell'uomo.
Sesso e odori: l’accoppiata è un qualcosa in grado di risvegliare gli istinti più primitivi e fisiologici. Non si può non descrivere il ruolo che ha il "naso" nell’attivare o spegnere il desiderio. È innegabile infatti che esistano fragranze in grado di accendere la passione e. proprio per questo, insistentemente ricercate. Nel mondo animale è tutto azionato dai feromoni, veicolati dall’olfatto.
illustrazione Milo Manara |
La prova? Immaginiamo, dice, che esistano due anelli come quello trovato da Gige. Diamone uno a una persona per bene, l’altro a un malfattore.
*Non ci sarebbe, si può supporre, nessuno di tempra così adamantina da preservare nella giustizia e avere cuore di astenersi dalla roba altrui e non stendervi la mano; mentre gli sarebbe lecito di prendere senza paura ciò che volesse e, entrando nelle case, usare con chi volesse, e uccidere… e fare ogni altra cosa, pari a un dio tra gli uomini* (Ibid. 360).
Ogni uomo, è la tesi di Glaucone, è paragonabile a Gige.
Infatti nessuno in cuor suo ama la giustizia, neppure la persona ritenuta per bene. Se ci si astiene dal compiere atti ingiusti, non lo si fa per amore della giustizia, bensì per la pura di essere scoperti e puniti dalla legge.
Dice Glaucone: *Nessuno è giusto volontariamente, ma costrettovi dalla necessità*.
Del resto, insiste, qualsiasi persona per natura tende a compiere ingiustizia piuttosto che a subirla. La ragione di ciò è che la giustizia, tanto magnificata, non è un bene assoluto ma un patto convenzionale, che costringe a rispettare l’uguaglianza, contrariamente all’istinto naturale degli uomini di sopraffarsi a vicenda.
Ma di una cosa si può star certi: non appena si ha l’occasione di violare le leggi impunemente, ci si distacca da essa per desiderio di guadagno o di qualche azione turpe.
Questa ramanzina di Glaucone, sulla presunta superiorità dell’ingiustizia, risentiva dell’influenza dei cosiddetti sofisti, intellettuali che trasmettevano il loro sapere dietro pagamento. da loro proveniva sia l’idea che la giustizia altro non sia ch ‘l’utilità’ del più forte’, sostenuta da Trasimaco di Calcedonia, interlocutore della REPUBBLICA, sia l’invito a rispettare le leggi solo in presenza di testimoni, ma ad agire senza inibizioni quando non si è osservati da occhi indiscreti. In questo modo la circospezione diventa una virtù, come tra gli Spartani, i quali, secondo la testimonianza del biografo Plutarco, punivano i ladri colti in flagrante non per il furto, ma per la dabbenaggine nel farsi sorprendere.
Glaucone ha ragione a pensarla così?
Egli giunge addirittura a sostenere che colui che mette in atto tutti i mezzi per compiere un’ingiustizia è spesso baciato dalla fortuna, mentre chi si comporta onestamente è spesso soggetto alla sventura.
E’ un dilemma destinato a durare per secoli ...”
Quando l’artista Marina Abramovic sconvolse Napoli alla Galleria Morra mettendo il pubblico di fronte alla propria bestialità, al suo essere animale senziente che, privato dei limiti imposti dalla società, viene anche privato della morale e viene trasportato verso i confini della curiosità e di un’impulsività nemmeno immaginabile...
Con la performance "Rythm 0", che si svolse nel 1974, l’artista serba indagò i limiti morali dell'uomo... la donna restò per sei ore a completa disposizione del pubblico: fra lei e gli spettatori un tavolo pieno di oggetti, da fiori a strumenti di tortura e persino una pistola con un colpo. Chiunque era autorizzato, in queste sei ore, a fare tutto ciò che voleva all’artista con quegli oggetti, ferirla, muoverla, denudarla… Non era Marina il reale oggetto dell’opera, in mostra a Napoli c’erano le reazioni del pubblico, la sfrenata curiosità nel poter fare tutto senza conseguenze, il poter sbirciare dalla “serratura” in libertà e impunità...
Dapprima le reazioni furono pacate fra chi faceva foto e chi qualche toccatina coraggiosa, ma dopo un’ora la curiosità ha prevalso e da li l’istinto e la bestialità, l’emotività sfrenata e l’ebbrezza della scoperta. Marina venne denudata, ferita, palpata, legata, fra chi le asciugava le lacrime di dolore e chi le succhiava il sangue dal collo e, persino, chi le mise la pistola in mano poggiandole il dito sul grilletto. L’artista, in tutto questo, rimase passiva, muta eccetto i gemiti di dolore, “un burattino” come si definì lei stessa, nelle mani del pubblico. Poi, scadute le sei ore, iniziò a muoversi, a ricomporsi e a camminare con passo fiero fra la folla che l’aveva torturata. Così, Marina mostrò un’altra faccia dell’animo umano: la vergogna. Tutti quelli che avevano utilizzato il suo corpo come meglio credevano non riuscirono a sostenere lo sguardo della donna, si allontanavano da lei a testa bassa, quasi a negare quanto avevano fatto nelle ore precedenti: a seconda del contesto, una persona normale può facilmente fare del male senza nemmeno sentirsi responsabile. L'avere autorità assoluta nei confronti di una persona porta a disumanizzarla, fino al punto da non sentire più compassione per essa.
Ed ecco cosa produce l’arte dell’Abramovic, ecco cosa ha turbato così tanto il mondo intero al punto da vietare le sue esibizioni in moltissimi paesi che si definiscono moderni.
È un’arte dissacrante che tira fuori la vera natura dell’uomo; mette, inevitabilmente, di fronte alla bestialità, al nostro essere animali senzienti, che priva il pubblico della morale, dei limiti imposti dalla società e lo trasporta verso i confini della curiosità e di un’impulsività nemmeno immaginabile...
"Demons"
Imagine Dragons, 2012
Nel brano "Demons" viene denunciato il male insito nell'uomo; si sottolineano le condizioni negative: la falsità, la tristezza, la delusione, le speranze perse... si afferma che qualsiasi cosa facciamo, per quanto sia positiva, il male in noi le rende negative; il male risiede negli occhi, specchio dell'anima, che rivela la corruzione dell'uomo; si parla della falsità delle persone, che appena cala il sipario dimostrano la loro vera natura: peccatori meschini pronti a scavarti la fossa anche se sei un loro simile. Sapendo che in entrambi c'è il male ci si vorrebbe congedare dalla ragazza a cui ci si rivolge, quando si nota una luce nei suoi occhi che, essendo specchio dell'anima, rivelano la bontà nascosta nelle persone.
È così che sconfiggiamo i nostri demoni, con la bontà
"Quando i giorni diventano freddi
Sono tutti fatti d’oro
Quando tutti i tuoi sogni falliscono
e le persone che salutiamo
sono le peggiori fra tutti...
Vorrei tenerti al riparo dalla verità
Vorrei proteggerti
Ma con la bestia che ho dentro
Non c’è posto per questo
Siamo fatti d’invidia
Io dico che dipende dal destino...
I tuoi occhi brillano così luminosi
Vorrei salvare la loro luce
Ma non posso fuggire da tutto questo
A meno che non mi mostri come fare...
Un giorno il capo di un villaggio Cherokee decise che era arrivato il momento di insegnare al suo nipote prediletto un’importante lezione di vita. Lo portò nella foresta, lo fece sedere ai piedi di un grande albero ed iniziò a raccontargli della lotta che ha luogo nel cuore di ogni essere umano: “Caro nipote, devi sapere che nella mente e nel cuore di ogni essere umano vi è un perpetuo scontro. Se non ne prendi consapevolezza, rischi di spaventarti e questo, prima o poi, ti porterà ad essere confuso, perso e vittima degli eventi. Sappi che questa battaglia alberga anche nel cuore di una persona saggia ed anziana come me. Nel mio animo dimorano infatti due grandi lupi: uno bianco, l’altro nero. Il lupo bianco è buono, gentile e amorevole; ama l’armonia e combatte solo per proteggere sé stesso e il suo “branco”. Il lupo nero invece è scontroso, violento e rabbioso. Ogni piccolo contrattempo è un pretesto per un suo scatto d’ira. Egli litiga con chiunque, continuamente, senza ragione. Il suo pensiero è ottenebrato dall’odio, dall’avidità e dalla rabbia. Ma la sua è una rabbia inutile, perché non gli porta altro che guai. Devi sapere che ci sono giorni in cui è davvero difficile vivere con questi due lupi che lottano senza tregua per dominare la mia anima.“ Al che il piccolo Cherokee chiese ansiosamente al nonno: “Ma alla fine quale dei due lupi vincerà?“ Il capo indiano rispose con voce ferma per sovrastare il rumore degli alberi della foresta: “Entrambi.” Il ragazzo sembrò confuso: “Come è possibile che vincano entrambi, nonno?!“ L’anziano Cherokee sorrise al nipote e continuò il suo racconto: “
Il lupo nero ha molte qualità di cui tutti noi possiamo avere bisogno in determinate circostanze. Egli è temerario e determinato, astuto e capace di ideare strategie indispensabili per dominare in battaglia. I suoi sensi sono affinati e i suoi occhi, abituati alle tenebre, possono scrutare anche il minimo movimento e salvarci così da un’imboscata notturna. Insomma, se sapremo addomesticare il nostro lupo nero egli potrà dimostrarsi il nostro più valido alleato.“ Per convincere definitivamente il nipote, il capo indiano prese dalla sua sacca due pezzi di carne e li gettò a terra, una a sinistra e l’altro a destra, ed indicandoli disse: “Qui alla mia sinistra c’è il pezzo di carne per il lupo bianco e alla mia destra il cibo per il lupo nero. Se darò ad entrambi da mangiare, i due lupi non lotteranno tra loro per conquistare la mia mente e potrò scegliere io a quale lupo rivolgermi ogni volta che ne avrò bisogno. La rabbia repressa, come il lupo affamato, è pericolosa. Caro nipote, devi comprendere che non dobbiamo reprimere o affamare nessuna sfaccettatura del nostro carattere. Per controllare la rabbia e gli altri lati oscuri che si nascondono nei meandri della nostra mente, dobbiamo imparare a conoscerli, accettarli e sfruttarli nelle circostanze più adatte. Solo in questo modo la lotta interiore tra i nostri due lupi cesserà."