L'inferno è vuoto e i demoni sono tutti qui...

La vita dei morti è riposta nel ricordo dei vivi.
Marco Tullio Cicerone

L'inferno è vuoto e i demoni sono tutti qui.
William Shakespeare

«Ammonimento agli assassini di domani: Non avrete mai pace.»
Simon Wiesenthal, 31 dicembre 1908 – 20 settembre 2005

... odio la morte che avete seminato,
odio tutti i silenzi che avete straziato ...
odio qualsiasi terra che vi abbia ospitato,
e odio il tempo passato su di voi.
Ogni minuto di quel tempo è stata una bestemmia.
Io disprezzo il vostro destino.
E ora che mi avete rubato il mio,
solo mi importa sapervi crepati.
Il dolore che vi spezzerà sarò io,
l'angoscia che vi consumerà sarò io,
il tanfo dei vostri cadaveri sarò io,
i vermi che si ingrasseranno con le vostre carcasse sarò io. E ogni volta che qualcuno vi dimenticherà, lì ci sarò io.
Volevo poi solo vivere.
Bastardi.
Alessandro Baricco


Ci son degli uomini a cui bisogna sparare prima di dirgli buona sera, 
e anche allora non valgono la pallottola che serve ad ammazzarli.
Harper Lee


[ Ci sono individui che non hanno bisogno della notte ]
essi stessi irradiano l'oscurità.
Stanisław Jerzy Lec, Pensieri spettinati

In realtà quei supplizi che dicono ci siano nel profondo inferno, li abbiamo qui tutti nella vita.
Tito Lucrezio Caro

«Dio non ci perdonerà. 
E neanche i bambini»

Noi siamo all'Inferno e la sola scelta che abbiamo è tra essere i dannati che vengono tormentati o i diavoli addetti al loro supplizio.
Albert Caraco


Io penso che [il giorno della memoria], oltre a ricordare la Shoah, dovrebbe essere esteso a tutti gli olocausti del pianeta. Dovrebbe essere il giorno dei diseredati, degli sfruttati, dei poveri; il giorno dei milioni di morti per fame, guerre, malattie, schiavitù; il giorno di tutti i perseguitati, deportati e uccisi nel corso della storia, a cominciare dallo sterminio di interi popoli e alla tratta di milioni di schiavi deportati dall'Africa; oggi dovrebbe essere la giornata di tutta l'Umanità perseguitata e dimenticata.
Fiorella Mannoia

Date parole al dolore.
Il dolore che non parla sussurra al cuore sovraccarico e gli ordina di spezzarsi.

William Shakespeare

[ e il mio maestro mi insegnò ]
come è difficile trovare l'alba dentro l'imbrunire

Franco Battiato, da Prospettiva Nevskij

Milioni di persone uccise...
Milioni di persone violentate...
Milioni di persone torturate...
Milioni di schiavi...
Milioni di uomini, donne e bambini gettati nel nulla... e poi dimenticati.

E dopo qualsiasi violenza senti come un vuoto dell’anima... che ti porti appresso per sempre.
Che urla silenziosamente dentro di te ogni volta che si risveglia nella mente, 
ormai irrimediabilmente ferita. 
Che riempie certe notti spaventate...



Secondo millennio a.C.: uomini scuoiati, spellati, smembrati, evirati, bruciati vivi...
con teste, mani e genitali mozzati...
Già a quei tempi non si facevano mancare nessun orrore....
Tom Meyer, professore di studi biblici allo Shasta Bible College e alla Graduate School in California, ha affermato che “sia i documenti scritti che i reperti dell’antico Medio Oriente possono dimostrare che i profeti biblici non avevano affatto esagerato sulla crudele natura dei loro nemici”. Il professor Meyer cita ad esempio tra i reperti, le iscrizioni sui muri nel palazzo del re assiro Ashurnasirpal II, le quali raccontano del re crudele che scuoia i nobili che si erano ribellati contro e che drappeggia le loro pelli sui mucchi di cadaveri. Anche altri studi archeologici condotti su antichi scheletri e bassorilievi nei palazzi reali, restituiscono immagini vivide e descrizioni testuali delle brutalità a cui Babilonese ed Assiri erano avvezzi, compreso l’amputazione delle mani e dei genitali, la scuoiatura, la decapitazione, l’impalamento e il rogo delle loro vittime.
Tra questi rilievi Meyer cita gli esempi dei testi murali del palazzo del re neo-assiro Sennacherib i quali “ritraggono i soldati assiri che smembrano uomini della città biblica di Lachis staccando la loro pelle, decapitando le loro teste e tagliando loro le mani”. 

Nove milioni di Donne 
torturate e uccise 
dalla Chiesa Cattolica 
nell' arco di cinque secoli...


Così scrisse Frederich Spee, un gesuita del Seicento: “Le accompagnavo al rogo e sapevo che erano tutte innocenti. E poteva capitare a chiunque“. E infatti capitò a milioni di donne in tutta Europa, bruciate vive perché troppo libere intellettualmente e sessualmente. 
Eretico non è colui che brucia nel rogo, 

eretico è colui che lo accende.
William Shakespeare

Tra i cinquanta e i cento milioni di nativi americani hanno perso la vita tra il 1494 e il 1891 e questo consente di classificare la “Conquista delle Americhe” come
Indiani Seneca,
una delle Sei Nazioni dei nativi americani irochesi.

Il più grande genocidio della storia dell’umanità...

Il male...
Il male puro!



ph Sebastião Salgado

La tratta degli schiavi africani.
Iniziò XVI secolo da parte del “civile” uomo bianco verso una terra 
nel frattempo in piena colonizzazione a scapito dello sterminio 
dei suoi abitanti originari, gli Indiani d’America...

Olocausto Armeno
1915-1916
deportazioni ed eliminazioni degli Armeni perpetrate dai Turchi tra il 1915 e il 1916, che causarono oltre un milione di morti
a cui devono essere aggiunte le centinaia di migliaia di vittime morte fino all’estate del 1918 nell’Armenia russa e nella Transcaucasia.

[il primo genocidio dell'età moderna]
Tale genocidio viene commemorato dagli armeni il 24 aprile.
Quanto ai bambini più piccoli, da 0 a 2 anni, venivano uccisi con il taglio della testa; o schiacciati contro un muro o contro una pietra; o eliminati in qualche altro modo considerato dai carnefici come un gioco.
 Fotogramma di un film del 1919, 
"Ravished Armenia", prodotto
dal colonnello William N. Selig,
 “l’uomo che inventò Hollywood”.

Una “foto falsa” che gira nel web
ma 
che documenta una realtà
ancor più tragica...

E malgrado le controversie storico-politiche sul massacro degli Armeni, un ampio ventaglio di analisti concorda nel qualificare lo sterminio degli Armeni come il primo genocidio moderno 
e le fonti, soprattutto occidentali, enfatizzano la "scientifica" programmazione delle esecuzioni.
E a oltre cento anni dal genocidio del popolo armeno, in tante rievocazioni si dimentica una pagina importante di quella tragedia: la violenza sessuale subita da tante donne durante il massacro di quel popolo, voluto e pianificato dal governo turco.
Tutte condannate a una triplice morsa di umiliazione e annientamento: fisico, psicologico e sessuale.
E che cosa ci può raccontare una foto falsa?
Benedetta Guerzoni, ricercatrice presso l’Istoreco (Istituto Storico della Resistenza di Reggio Emilia) affronta il caso delle crocifissioni delle donne armene, togliendoci ogni incertezza:  per quanto quelle immagini siano un “documento falso”, i fatti a cui si riferiscono sono veri, e purtroppo assai peggiori. La tortura conclusiva avveniva in modo ancora più brutale, come riportano le parole di Aurora Mardiganian, la ragazza che sopravvisse e raccontò quella vicenda: 
ph  Frantisek Drtikol

“I turchi non facevano le croci in questo modo. 
I turchi facevano piccole croci appuntite, 
facevano spogliare le ragazze, 
e dopo averle violentate 
le impalavano..."
Due furono i momenti principali nei quali vennero registrati gli stupri: il primo durante la fase del disarmo degli Armeni e il secondo quando la popolazione armena fu costretta ad abbandonare le proprie case e a mettersi in viaggio per territori impervi.
Le donne rimaste indietro venivano «trafitte con le baionette lungo la strada, o spinte nei precipizi, o gettate dai ponti». L’attraversamento dei fiumi, specialmente l’Eufrate, diventava l’occasione pe nuove stragi. Donne e bambini erano gettati nell’acqua ed uccisi se solo tentavano di raggiungere la sponda opposta: «Il gusto e il piacere che provavano i loro tormentatori erano senza limiti».

E poi quei trentuno anni, tra i più sanguinosi e tragici della storia russa. Trentuno anni, tanti quanto durò il regime stalinista, di deportazioni e massacri di avversari politici e interi popoli, con un bilancio di decine di milioni di vittime e orrori che fecero concorrenza all’abisso dell’umanità scatenato da Hitler e dai regimi nazifascisti.
Nel solo periodo dal 1929 al '32, Stalin e i comunisti 'repressero' con fredda determinazione i kulaki e i subkulaki, deportandoli a morire con le mogli e i figli [quindici milioni di esseri umani] 
nelle tundre gelate della Russia europea e nelle zone disabitate della Siberia. A questa deportazione, e alla mancata messa a coltura di molti campi, fece seguito una terribile carestia (1932-33) che comportò altri sei milioni di morti.
In Ucraina questa carestia artificiale prese il nome di Holodomor, riconosciuto come genocidio dal Parlamento ucraino nel 2008. Il riconoscimento come genocidio al Parlamento europeo avviene nel dicembre 2022. Gli eurodeputati "condannano fermamente questi atti che causarono la morte di milioni di ucraini e invitano tutti i Paesi e le organizzazioni che non l'hanno ancora fatto a riconoscere l'Holodomor come genocidio".

Fortunatamente Nikita Khruščёv nel 1956 sconfessò lo stalinismo...
E la “selettività” dei ricordi qualche problema lo crea, come rivela il sostanziale vuoto di pensiero sul significato storico del 1989. E questo rimanda alla difficoltà di fare i conti con il passato criminale dei regimi comunisti, di mettere su un piano di parità le vittime del fascismo e quelle del comunismo, di dare all’anticomunismo la medesima dignità dell’antifascismo, di riconoscere insieme gli orrori di Auschwitz e quelli della Kolyma. Da qui un duro atto d’accusa contro quella sinistra incapace di avere il “coraggio della memoria”.

L'olocausto nei campi di concentramento nazisti.
Tra il 1933 e il 1945, furono circa 15-17 milioni le vittime dell'Olocausto, di entrambi i sessi e di tutte le età, tra cui  circa 6 milioni di ebrei.

«Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare»
teologo tedesco Martin Niemöller 

[e quando la "Memoria" dura solo un giorno in realtà si chiama "oblio"]
Io penso che [il giorno della memoria], oltre a ricordare la Shoah, dovrebbe essere esteso a tutti gli olocausti del pianeta. Dovrebbe essere il giorno dei diseredati, degli sfruttati, dei poveri; il giorno dei milioni di morti per fame, guerre, malattie, schiavitù; il giorno di tutti i perseguitati, deportati e uccisi nel corso della storia, a cominciare dallo sterminio di interi popoli e alla tratta di milioni di schiavi deportati dall'Africa; oggi dovrebbe essere la giornata di tutta l'Umanità perseguitata e dimenticata.
Fiorella Mannoia



E poi il più grande disastro economico e della più grande perdita di vite umane mai causata da un governo ai suoi stessi cittadini: il “Grande balzo in avanti” (1958-62) , la campagna di modernizzazione comunista dell’economia della Cina imposta da Mao Zedong e attuata in un misto di entusiasmo e di paura da centinaia di milioni di cinesi...
In "Mao’s Great Famine" lo storico olandese Frank Dikötter attribuisce al presidente Mao la responsabilità per la morte di ben 45 milioni di persone, per lo più falcidiate dalla fame e dalla malattia.

Tra il 1976 ed il 1983 in Argentina almeno ottantamila oppositori politici sono stati inghiottiti nei lager. 
Almeno 30 mila di essi sono scomparsi nel nulla dopo torture e sevizie...

ph Elena Quinteros
una maestra
sequestrata dal regime
il 26 giugno 1976,

desaparecida.


Questa storia comincia in una prigione, con una ragazza che mette al mondo una bellissima bambina. Nemmeno il tempo di stringerla tra le braccia che le viene portata via dagli stessi uomini che alcuni mesi prima l'hanno prelevata da casa e incarcerata.
Quella ragazza si chiama Mirta Mabel Barragán, e non rivedrà mai più sua figlia. Forse gettata da un elicottero durante i "voli della morte", forse semplicemente liquidata con un colpo di pistola.
Mirta diventa subito dopo il parto una dei 30.000 desaparecidos scomparsi nel nulla tra il 1976 e il 1983, nel corso della dittatura militare che ha tenuto in pugno l'Argentina.
Sua figlia invece entra a far parte degli "hijos": i figli rubati. Circa cinquecento figli di oppositori politici, fatti nascere in cattività e poi consegnati o venduti dalla giunta militare a famiglie vicine alla dittatura affinché li educassero secondo i dogmi del regime.
María, così verrà chiamata la neonata, è data alla signora Gómez e il signor Rivas, che cancellano la sua identità e la crescono in un clima di menzogne e autoritarismo.
La bambina però fin da piccolissima si dimostra renitente a questo tipo di educazione. A sette anni le dicono che è stata adottata, inventando strane storie sulla sua famiglia di origine. Tante bugie su sua madre e tante violenze psicologiche e verbali su di lei. Ma le violenze non riescono a piegare il carattere ribelle di María, che appena può fugge di casa e si mette alla ricerca della verità.
Nel 2000, grazie alla Commissione nazionale per il diritto all’identità, scopre di essere figlia di Mirta Mabel Barragàn e di Leonardo Ruben Sampallo, operai attivi nel sindacato fatti sparire dal regime. María decide dopo alcuni anni, prima tra i circa cento bambini rubati che hanno scoperto la propria storia, di denunciare l'uomo e la donna che a lungo ha creduto essere i propri genitori.
Ancora oggi in Argentina e probabilmente anche in altri paesi ci sono circa 400 individui, ormai adulti, che non conoscono la verità sulle proprie origini e sul sacrificio dei propri genitori.
María e gli altri bambini rubati con l'associazione HIJOS si battono anche per loro, perché sappiano la verità e possano scegliere liberamente la propria strada.

In Cile, durante la dittatura del generale Augusto Pinochet, il fenomeno dei desaparecidos coinvolse circa 40.000 vittime, di cui 2000 morti accertati e 38.000 scomparsi. La prese di potere di Pinochet avvenne l'11 settembre 1973, quando fu rovesciato Salvador Allende, il presidente eletto che poi si suicidò nel palazzo presidenziale.

La ragazza e il poliziotto.
Arriva dal Cile un’altra immagine simbolo, questa volta delle proteste andate in scena a Santiago l’11 settembre 2016 , nel 43esimo anniversario del colpo di stato militare del 1973 che rovesciò il governo socialista di Salvador Allende e portò al potere la giunta militare guidata da Augusto Pinochet. Una dittatura durata 17 anni. La mobilitazione di protesta organizzata nell’anniversario dalle famiglie dei desaparecidos e di coloro che morirono in seguito alla repressione messa in atto dal regime. L’immagine immortalata dal fotografo della Reuters Carlos Vera Mancilla cattura il momento in cui una giovane donna fronteggia le forze dell’ordine, dispiegata in assetto antisommossa.


Non era più una strada ma un mondo, un tempo e uno spazio di cenere in caduta e semioscurità. Camminava verso nord tra calcinacci e fango e c’erano persone che gli correvano accanto tenendosi asciugamani sul viso o giacche sulla testa.
Avevano fazzoletti premuti sulle bocche. Avevano scarpe in mano, una donna gli corse accanto, una scarpa per mano.
Un'immagine delle
Torri Gemelle
con le foto di tutte le
vittime dell'11 settembre.


 Correvano e cadevano, alcuni, confusi e sgraziati, fra i detriti che scendevano tutt’intorno, e qualcuno cercava rifugio sotto le automobili. 
Nell’aria c’era ancora il boato, il tuono ritorto del crollo. Il mondo era questo, adesso. 
Fumo e cenere rotolavano per le strade e svoltavano angoli, esplodevano dagli angoli, sismiche ondate di fumo cariche di fogli di carta per ufficio in formati standard dai bordi taglienti, che planavano, guizzavano in avanti, oggetti soprannaturali nel sudario del mattino.
Don DeLillo, da L’uomo che cade

Inganno globale? 


E poi, tutti quei popoli senza Stato.
quei popoli senza libertà...

E i ricchi giacimenti petroliferi sono il motivo fondamentale del conflitto che dal 1994 insanguina la Cecenia... e rendono instabile l'intera regione caucasica al confine russo: Armenia, Azerbaigian, Georgia... tutte attenzionate dagli appetiti russi. 


Il problema non è "aiutarli a casa loro".
Il problema è "non sfruttarli a casa loro"...


E mediante le “rivoluzioni colorate”  [la nuova forma del golpe postmoderno], vengono metodicamente rovesciati i governi non allineati e non ancora retti dalla norma della "Free Market Democracy". Fu quanto avvenne, ad esempio, con la “rivoluzione delle rose” in Georgia nel 2003, per il tramite di un regime change anti-russo e filo-atlantista. Fu, ancora, quanto si verificò con le cosiddette “primavere arabe”, il cui obiettivo corrispondeva alla dissoluzione dei nazionalismi arabi e all’occidentalizzazione dei Paesi con politica e immaginario non ancora integralmente saturati dalla forma merce .
by Diego Fusaro


Io vado, madre.
Se non torno,
sarò fiore di questa montagna,
frammento di terra per un mondo
più grande di questo.
Io vado, madre.
Se non torno,
il corpo esploderà là dove si tortura
e lo spirito flagellerà, 
come l'uragano, tutte le porte.
Io vado... 
Madre ...
Se non torno,
la mia anima sarà parola ...
per tutti i poeti.
Abdulla Goran, poeta curdo 1904*1962

Bella come 
Beirut
esausta come 
Damasco
timida come 
Il Cairo
distrutta come lo 
Yemen
ferita come 
Baghdad 
e dimenticata come la 
Palestina
Fakir Mohammed




“Tradire i curdi sembra un diritto concesso a tutti, almeno una volta” 
 scriveva Christopher Hitchens.

La guerra che verrà non è la prima. 
Prima ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente faceva la fame. 
Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente.

Bertolt Brecht, La guerra che verrà.

Dopo la soglia epocale del 1989 con la caduta del muro di Berlino, si è registrato l’avviamento della quarta guerra mondiale, come l’ha battezzata Costanzo Preve. Successiva alla terza (la cosiddetta “Guerra Fredda”), è la guerra che la vincente monarchia talassocratica del dollaro ha dichiarato a chiunque non pieghi al nuovo ordine mondiale, ad esso sottomettendosi docilmente. È, per sua essenza, il bellum permanente che il Leviatano a stelle e strisce ingaggia contro gli oppositori della mondializzazione con capitale a Washington: suddetti oppositori o si rassegnano al loro inedito ruolo di colonie periferiche o terminano le loro esistenze terrene mediante l’intervento degli eserciti del Bene made in Usa.
Figura centrale della nuova mise en forme del conflitto, il nuovo imperialismo etico con democrazia missilistica incorporata, decreta che sono “governi legittimi” sempre e solo quelli che traggono la propria legittimità dal Fondo Monetario Internazionale e non certo dalla volontà politica del popolo sovrano. Santificato dal clero intellettuale composto da assordanti megafoni dell’atlantismo mondialista e neocoloniale, il Leviatano a stelle e strisce sempre di nuovo ricorre alle guerre umanitarie e alle sovversioni colorate per giustificare e nobilitare l’espansionismo neocolonialistico. Il pacifismo è, a tutti gli effetti, l’ideologia di giustificazione dell’imperialismo Usa, ossia della santificazione della sola violenza legittima dei dominanti: esso destruttura lo ius resistentiae e il suo fondamento, per cui alla violenza è giusto reagire con la violenza (vim vi repellere licet). Figura, di fatto, come l’introiezione, da parte dei dominati, dell’ordine dominante, che chiede di essere “pacificamente” accettato così com’è, senza sollevazioni e senza spirito di scissione. In questa luce di neo-colonialismo occultato e incensato come “interventismo umanitario” deve essere letta, tra l’altro, la normalizzazione euro-atlantica delle aree dell’ex Unione Sovietica, nel frattempo sprofondata nell’abisso post-1989. L’espansione della Nato a Est avvenne per il tramite dell’adesione all’Alleanza atlanticainstrumentum privilegiato dell’imperialismo geopolitico alla mercè degli interessi del cosmomercatismo finanziario della monarchia a stelle e strisce, da parte delle repubbliche ex-sovietiche di Georgia e Ucraina, successivo a quello del 2004 dell’Estonia, della Lettonia e della Lituania. L’obiettivo era, chiaramente, la rioccupazione dello spazio geopolitico post-sovietico, includendo nell’alleanza atlantica la Moldavia, la Georgia e l’Ucraina e sottraendo territori e influenza alla Russia visibilmente depotenziata dopo il 1989. Mediante le “rivoluzioni colorate” – la nuova forma del golpe postmoderno –, vengono metodicamente rovesciati i governi non allineati e non ancora retti dalla norma della free market democracy. In seconda battuta, tali aree vengono depredate mediante speculatori d’ogni sorta, presentati sotto la categoria – nobilitante quanto fuorviante – di “investitori stranieri” (o, non di rado, di “filantropi”).  

by Diego Fusaro

Asia Ramazan Antar aveva vent’anni. 
Si era arruolata nel 2014, ma nell'agosto del 2016 ha trovato la morte in combattimento mentre si trovava nella regione di Minbic, nella Siria settentrionale. 
Risultato immagini per Io vado, madre. Se non torno, sarò fiore di questa montagna, frammento di terra per un mondo più grande di questo. Io vado, madre. Se non torno, il corpo esploderà là dove si tortura e lo spirito flagellerà, come l'uragano, tutte le porte. Io vado... Madre ... Se non torno, la mia anima sarà parola ... per tutti i poeti."Apparteneva all’etnia curda e combatteva realmente l’Isis per difendere la propria terra, se stessa, il genere a cui apparteneva, la voglia di progresso e di libertà che le veniva dall’animo. Asia, come altre della sua generazione, è morta sul campo di battaglia, nell’indifferenza delle democrazie occidentali pur schierate contro il nemico che le ha tolto la vita. Parrebbe logico abbastanza che gli stati minacciati dallo Stato Islamico soccorressero i curdi, bombardati anche dalla Turchia, il cui governo non ne desidera la presenza all’interno del paese e mal li sopporta ai confini. Sulla vicenda del popolo curdo, invece, regna il silenzio, in una sorta di disattenzione forzata a garanzia del disimpegno politico delle nazioni europee e della stessa ONU, che fanno davvero poco per risollevare il destino infausto e la sofferenza di genti senza uno stato proprio. Asia ha dato la vita per una causa di speranza che riguarda un popolo intero, per migliaia di famiglie costrette a vagare per territori ostili e zone di efferati conflitti, per le donne oltraggiate e violentate da fanatici che le vogliono sottoposte e asservite, per i bambini a cui la guerra ha portato via fin troppo: parenti, casa, genitori, infanzia. Lei è morta per questo. 
Risultato immagini per Io vado, madre. Se non torno, sarò fiore di questa montagna, frammento di terra per un mondo più grande di questo. Io vado, madre. Se non torno, il corpo esploderà là dove si tortura e lo spirito flagellerà, come l'uragano, tutte le porte. Io vado... Madre ... Se non torno, la mia anima sarà parola ... per tutti i poeti.Eppure, per tanti media italiani il suo sacrificio si ferma a un immagine plasticamente evocativa, che ne rimanda il ricordo alle fattezze di una attrice bella e famosa, pubblicizzata dal consumismo alla moda del civile ed evoluto mondo occidentale. Asia è, per gli osservatori dei miei stivali, la “Angelina Jolie del Kurdistan”. Come se un’esistenza vissuta per sublimare l’ideale arcaico di giustezza potesse essere ricondotto a una fotografia sbiadita di una star di successo, riducendo stupidamente le fattezze fisiche della nobile guerrigliera a copia improbabile e dissimile di un’originale che si discosta enormemente dalle condizioni di sofferenza causate dalla meschinità delle guerre e dagli interessi delle nazioni. Si può fare un oggetto di uno spirito forte e coraggioso che continua a resistere su un campo di battaglia al fianco di cuori pulsanti nella lotta a difesa della libertà? Si rende davvero possibile soffermarsi sull’aspetto estetico di una combattente della resistenza curda, senza risalirne all’anima e tacendo i motivi per cui ha perso la vita? Asia resta bellissima, troppo bella per essere contemplata da chi non sa vederne la passione di combattente e la dignità di donna oltre il corpo. Asia non finisce qui ed è troppo grande per rientrare in definizioni da marketing mediatico. Asia è memoria, presenza, sogno. E non somiglia a nessuno se non alla sua terra, l’altopiano fatale e incantevole a cui è rimasta legata per sempre. by Oscar Nicodemo
Per le combattenti curde morte ad Afrin, marzo 2018.
Curde che, dopo aver combattuto l'Isis per l'Occidente ora si trovano, nell'indifferenza dell'Occidente, abbandonate al loro destino turco...

E un testo messo in rete da Simona Tagliaventi dell’Ansa e condiviso da migliaia di persone ci dà la misura della tragedia. Sotto il testo c’è una foto di ragazze sorridenti, senza velo in testa ma in mimetica e con il mitra a tracolla. Il testo è questo:
Non vi ingannino i nostri sorrisi, siamo morte tutte. Ci hanno violentato, ammazzato di botte e sparato. Hanno mutilato i nostri corpi, i nostri genitali, e li hanno filmati ridendo di noi. Eravamo colpevoli perché ribelli, perché donne che imbracciano un fucile. Ma eravamo solo ragazze. Abbiamo patito la fame, ricevuto sguardi di incoraggiamento da chi aveva meno di noi, sorriso, pianto, siamo state terrorizzate, abbiamo pensato di potercela fare nell’indifferenza del mondo che ci ammirava ma non ci ha mai sostenuto. 
E’ andata a finire come sapevamo, non era una favola la nostra. 
O forse lo è stata per il tempo di questo scatto.” 
Per le combattenti curde morte ad Afrin, marzo 2018.




Anche a noi ci ha ammazzato un uomo. Uno che non avevamo mai visto prima, uno che non avevamo amato, nemmeno sposato.
Che a noi il tempo per l’amore è mancato. È mancato quello per i progetti, per i sogni e i desideri, per le feste e per la vita come la conoscete voi che ci avete elette simbolo romantico di resistenza.
Ma noi non siamo romantiche, oggi da morte, e non lo eravamo neanche da vive. Siamo nate donne, e già qua non è la più grande delle fortune, e siamo nate curde, e questa (storia alla mano) è una grande sfortuna. La nostra gente, i nostri nonni, i nostri genitori, i vicini di casa, gli zii e i parenti tutti sono stati la merce di scambio e la carne da macello di Paesi che non abbiamo mai visitato. Su di noi hanno testato le armi chimiche e ci hanno usati nelle guerre come animali sacrificabili. Mentre voi vi preoccupavate di Saddam, noi dovevamo preoccuparci di lui e di voi e di tutti quelli che ci stavano intorno. Abbiamo avuto poco tempo per scegliere tra Erdogan e Isis. Abbiamo avuto giusto il tempo di recuperare un AK47 e provare a mirare meglio possibile: sparare per prime per non finire ammazzate.
Noi non abbiamo scelto l’eroismo, non ci fregava niente di essere il vostro simbolo di resistenza. Noi non abbiamo avuto scampo: o ammazzare o essere ammazzate per provare a costruire la libertà, se non per noi per chi verrà dopo di noi. Le nostre foto e i video in cui ci vedete sorridenti e coraggiose sono buoni per i giornali che ancora vi raccontano la guerra come una lotta tra il bene (che sorride un attimo prima di morire) e il male (che ha una brutta faccia nera un attimo prima di ammazzare). Ma la verità è che noi non abbiamo avuto scelta: o imparavamo a fare la guerra o avremmo perso la libertà. Quel poco di libertà che ancora abbiamo, su in montagna, in un posto dimenticato da Dio ma non dagli uomini.
I nostri sorrisi che vi rimbalzate da una pagina all’altra non sono la guerra. La guerra sono le lacrime che abbiamo pianto quando non c’erano i fotografi, sono le amiche che prendevano una pallottola in testa ma noi continuavamo a sparare, sono le notti fredde e senza sonno, i giorni silenziosi che non finiscono mai. Sono il pensiero di casa, di quando eravamo bambine. La guerra è quella che ci ha ammazzate. Tutte. E credetemi, nessuna di noi voleva morire. Volevamo tutte una vita di amore, di passeggiate, di tranquilla normalità. Volevamo una vita come la vostra dove non serve il coraggio di morire, basta quello per vivere scegliendosi un simbolo da idolatrare.
Ci sarebbe piaciuto scegliere, non essere scelte.

L'oppressore è schiavo quanto l'oppressoperché chi priva gli altri della libertà è prigioniero dell'odioè chiuso dietro le sbarre del pregiudizio e della ristrettezza mentale. L'oppressore e l'oppresso sono entrambi derubati della propria umanità. 
Nelson Mandela



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